KHABBAB IBN AL-ARATT E LA VERA FRATELLANZA NELL’ISLAM

Anche la storia di Khabbab ibn al-Aratt (che Allah sia soddisfatto di lui) é prova di grandissima fede. Anche lui, come la maggior parte dei Sahabah (compagni del Profeta) è stato messo a durissima prova, rischiando più volte la vita. Conoscendo sulla sua pelle le torture più atroci e mettendo più volte a rischio la sua vita. Erano i primi musulmani sulla terra, o meglio, i primi che si convertirono ai tempi del Profeta Muhammad (che Allah lo elogi e lo preservi) poiché tutti i Profeti prima del Messaggero di Allah erano musulmani [sottomessi al Dio Unico], ma non avevano ancora ricevuto l’ultima Rivelazione Divina, il Corano. Tutti i Sahabah hanno sofferto, hanno dovuto affrontare situazioni difficilissime che i musulmani di oggi difficilmente riuscirebbero a superare. L’unica differenza é che allora c’era una comunità islamica unita, che si aiutava a vicenda, che sacrificava la vita per il proprio fratello, cosa che oggi non accade, salvo in rarissimi casi. Non mancavano anche allora i bugiardi, gli ipocriti, chi si spacciava per musulmano e che in realtà non lo era. Non mancavano i corrotti, gente senza scrupoli e senza cuore, esattamente come oggi. E come oggi non mancavano i detrattori dell’Islam.

Umm Anmaar, donna senza scrupoli della tribù di Khuza-a della Mecca un giorno decise di comprare uno schiavo e fra questi c’era Khabbab ibn al-Aratt. Il giovane era forte e sano con un viso molto intelligente, questo convinse la donna.

“Come ti chiami, ragazzo?” chiese la donna, “Khabbab”, “E come si chiama tuo padre?”, “Al-Aratt”, “Da dove vieni?”, “Da Najd”, “Allora sei arabo!”, “Sì, da Banu Tamim”.

“Come sei finito nelle mani dei mercanti di schiavi della Mecca?”, il ragazzo rispose: “Una delle tribù arabe ha fatto irruzione nel nostro territorio. Hanno preso il nostro bestiame e catturato donne e bambini. Ero tra i giovani catturati. Sono passato da una mano all’altra finché sono finito alla Mecca …”.

Umm Anmaar mise Khabbab come apprendista presso uno dei fabbri della Mecca per imparare l’arte di fabbricare le spade. Il giovane imparò subito la professione, diventando un esperto. La donna fece tutto questo pensando solo al guadagno, non perché tenesse particolarmente a Khabbab, così la donna preparò per lui un’officina con tutti gli strumenti e le attrezzature necessarie per fabbricare le spade. In poco tempo divenne abbastanza famoso alla Mecca per la sua eccellente maestria. Alla gente piaceva anche trattare con lui per via della sua onestà. Era molto intelligente e saggio, nonostante fosse giovanissimo. Soffriva molto per la situazione in cui viveva il popolo: povertà, corruzione, ignoranza, tirannia. Lui stesso era vittima della tirannia e si diceva:

“Dopo questa notte di oscurità, deve esserci un’alba”. Vide con i suoi occhi nascere l’Islam. Ha avuto il privilegio di essere alla Mecca quando i primi raggi di luce dell’Islam penetrarono nella città. Sentì le parole di Muhammad ibn Abdullah [il Profeta Muhammad] quando annunciò che nessuno deve essere adorato tranne il Creatore e Sostenitore dell’Universo. Chiese la fine dell’ingiustizia e dell’oppressione e criticò aspramente le pratiche dei ricchi nell’accumulare ricchezza a spese dei poveri e degli emarginati. Denunciò i privilegi e gli atteggiamenti aristocratici e chiese un nuovo ordine basato sul rispetto della dignità umana e sulla compassione per i diseredati, inclusi orfani, viandanti e bisognosi.

Per Khabbab, gli insegnamenti del Profeta (pace e benedizione su di lui) erano come una luce potente che dissipava l’oscurità dell’ignoranza. Andò ad ascoltare questi insegnamenti direttamente da lui. Senza alcuna esitazione, allungò la mano al Profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui) in segno di fedeltà e testimoniò [facendo la Shahadah] che “Non c’è dio all’infuori di Allah e Muhammad è il Suo Servo e Messaggero”. È stato tra i primi dieci ad abbracciare l’Islam.

Il giovane non nascose a nessuno la sua Fede di musulmano e questa notizia arrivò alle orecchie di Umm Anmaar, che si arrabbiò moltissimo. La donna andò da suo fratello Sibaa ibn Abd al-Uzza che radunò una banda di giovani della tribù Khuzaa e insieme si diressero verso Khabbab. Lo trovarono completamente assorbito dal suo lavoro. Sibaa gli si avvicinò e gli disse:

“Abbiamo sentito su di te alcune notizie cui non crediamo”. “Quali?” chiese Khabbab, “Ci è stato detto che hai abbandonato la tua religione e che ora segui quell’uomo dei Banu Hashim [il Profeta Muhammad, che Allah lo elogi e lo preservi]”.

“Non ho rinunciato alla mia religione” rispose calmo Khabbab, “Credo in un solo Dio che non Ha associati. Respingo i tuoi idoli e credo che Muhammad sia il Servo di Dio e Suo Messaggero “.

Non appena Khabbab ebbe pronunciato queste parole, Sibaa e la sua banda lo attaccarono. Lo picchiarono con pugni e sbarre di ferro, lo presero a calci finché il giovane non cadde a terra privo di sensi, con il sangue che colava.

La notizia raggiunse la gente che rimase colpita per il coraggio, sincerità e schiettezza del giovane. Molti suoi amici abbracciarono l’Islam ed incoraggiati dal comportamento di Khabbab annunciarono la loro nuova Fede. Uno dopo l’altro cominciarono a proclamare pubblicamente il Messaggio di Verità [l’Islam].

Sibaa ibn Abd al-Uzza e il suo popolo per punire Khabbab e convincerlo nel lasciare l’Islam lo portarono nelle aree aperte della città e nelle ore più calde, quando il terreno era rovente. Gli tolsero i vestiti e gli misero addosso un’armatura di ferro e lo stesero a terra. Per il caldo intenso la sua pelle si sarebbe bruciata. Quando era al limite per le sofferenze e quasi gli mancavano le forze si avvicinarono a lui con tono di sfida chiedendogli:

“Che ne dici di Muhammad?”, “È il Servo di Dio e il Suo Messaggero. È giunto con la Vera Religione e Guida, per condurci dalle tenebre alla luce”.

Questo episodio mi riporta alla storia di Bilal e di molti altri Sahabah che hanno subito violenze fisiche atroci come queste…

Infierirono sul giovane e gli chiesero cosa pensasse dei due idoli al-Laat e al-Uzza.  Lui rispose così:

“Due idoli, sordi e muti, che non possono causare danni o portare alcun beneficio …”

Questo li fece infuriare ancora di più e presero una grossa pietra calda e gliela misero sulla schiena. Il dolore aumentò. Da notare il metodo disumano che i miscredenti usarono contro i musulmani, era sempre lo stesso.

La crudeltà di Umm Anmaar nei confronti di Khabbab non era inferiore a quella di suo fratello. Una volta vide il Profeta parlare con Khabbab nel suo laboratorio, questo scatenò in lei una rabbia cieca. Ogni giorno, per diverso tempo, andò al laboratorio di Khabbab e lo punì mettendogli sulla testa una barra di ferro rovente estratta dalla fornace. L’agonia era insopportabile e spesso sveniva.

Khabbab soffrì a lungo e la sua unica risorsa era la preghiera. Pregò per la punizione di Umm Anmaar e di suo fratello. La sua liberazione dal dolore e dalla sofferenza avvenne solo quando il Profeta  (pace e benedizione su di lui), diede il permesso ai suoi compagni di emigrare a Medina. A quel punto Umm Anmaar non poteva impedirgli di andare. Lei stessa fu colpita da una terribile malattia di cui nessuno aveva sentito parlare prima. Mal di testa tremendi, fortissimi, snervanti. I suoi figli cercarono ovunque assistenza medica fino a quando alla fine gli fu detto che l’unica cura era cauterizzarle la testa [bruciare un tessuto organico col cauterio o con un caustico, oggi sostituito dall’elettrobisturi]. Questo fu fatto. Il trattamento, con un ferro rovente, fu la cosa più terribile di tutti i mal di testa.

La giustizia c’è per tutti e primo poi arriva. Chi fa del male presto verrà punito da Allah L’Altissimo, in questa vita e nell’Altra!

Khabbab era finalmente tranquillo, felice a Medina a fianco del Profeta Muhammad (che Allah lo elogi e lo preservi). Come molti Sahabah combatté a fianco del Profeta nella battaglia di Badr, partecipò alla battaglia di Uhud dove ebbe  la soddisfazione di vedere Sibaa ibn Abd al-Uzza morire per mano di Hamza ibn Abd al-Muttalib, lo zio del Profeta. Khabbab visse abbastanza a lungo per vedere l’espansione dell’Islam sotto i quattro califfi ben guidati: Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali. Una volta andò da Umar durante il suo califfato. Umar si alzò – era in riunione – e salutò Khabbab con le parole:

“Nessuno è più degno di te di essere in questa assemblea tranne Bilal”, quindi solo Khabbab e Bilal. Chiese a Khabbab delle torture e persecuzione ricevute per mano dei mushrikeen (associatori). Khabbab descrisse tutto in modo dettagliato poiché era ancora molto chiaro nella sua mente. Fece vedere la sua schiena e persino Umar rimase sbalordito da ciò che vide.

Nell’edizione italiana del libro di AbdulWàhid Hàmid “Companions of the Prophet” tradotto in “I Compagni del Profeta” è riportato anche che Khabbab è la stessa persona che insegnò il Corano alla sorella di Umar, il quale non era ancora musulmano, entrò nella casa dove la donna stava recitando il Sacro Corano e con rabbia aggredì la sorella e suo marito appena convertiti all’Islam, Khabbab si nascose ed uscì allo scoperto dopo che Umar disse – dopo aver letto i versetti del Corano- : “Mostratemi il cammino per incontrare Muhammad”, voleva conoscere il Profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui) e fare la Shahadah. La sorella e il cognato di Umar erano Fatimah bint al-Khattab e Sa’id ibn Zayd (che Allah sia soddisfatto di entrambi).

La versione in inglese la trovate qui: https://www.alim.org/history/prophet-companion/3 e non vi è traccia di questo bellissimo episodio realmente accaduto.

Nell’ultima fase della sua vita, Khabbab è stato ricompensato da Allah con ricchezze. Tuttavia rimase umile, generoso con i più poveri e sempre timorato di Allah. Queste storie ci devono far riflettere. Come ho scritto all’inizio dell’articolo tutti i Sahabah hanno sofferto per le torture più atroci, solo per aver abbracciato l’Islam. I nemici usavano con tutti i musulmani gli stessi metodi, i Sahabah sopportavano, rischiando più volte di perdere la vita. Anche di fronte al pericolo non nascondevano di essere musulmani. Hanno combattuto a fianco del Profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui) nelle numerose battaglie [contro i nemici che li perseguitavano]. Erano onesti, sinceri nella Fede, pronti a dare la propria vita per proteggere il Profeta (pace e benedizione su di lui), per salvare un loro fratello nella Fede.

Al contrario di oggi c’era la vera fratellanza, la Ummah comunità islamica era veramente unita –anche se non mancavano gli ipocriti e portatori di Fitnah- . Non c’era nel cuore dei Sahabah un minimo di cattiveria, di egoismo. Quello che faccio per te fratello lo faccio veramente col cuore, senza un doppio fine, non voglio nulla da te e quello che ho lo divido con te. Quando hai bisogno sarò sempre al tuo fianco fratello e se non ci sei vengo da te per assicurarmi che stai bene. Non penserò mai male di te e vorrò solo il bene per mio fratello. Ciò che desidero per me lo desidero per te. Questo era il pensiero dei compagni del Profeta Muhammad (sallallahu ‘aleyhi wa sallam) e quanto il nostro Profeta aveva a loro insegnato.

Meditate fratelli e sorelle, meditate!

Mamdouh AbdEl Kawi Dello Russo

Quì trovate il video che ho intitolato “SVEGLIA! E’ questa la VERA fratellanza nell’Islam”: https://www.youtube.com/watch?v=XXlATYROmLI

Nei numeri precedenti: Hamza (“Mondo Islam” n. 17), Bilal (n. 17), Abu Hurayra (n. 19), Khaled ibn Al Walid (n. 19), Abdullah ibn Abbas (n. 20), Salman Al Farsi (n. 20), Umar ibn Abdul Aziz (n. 21), Amr ibn Al ‘ Aas (n. 21), Said ibn Amir al-Jumahi (n. 24), Abu Ubaydah ibn al-Jarrah (n. 24), Abdullah ibn Mas’ùd (n. 27)

Tratto da “Mondo Islam Magazine” n. 28